Di Alberto Campoleoni

SCUOLA – Scuola digitale. Sembra quasi una parola d’ordine di questi anni, anche se forse non si capisce bene cosa sia. Si può immaginare che il termine voglia indicare una scuola dotata delle ultime tecnologie utilizzate per promuovere l’apprendimento, con tablet e lavagne interattive e insegnanti capaci di padroneggiare gli strumenti “piegandoli” alle esigenze scolastiche. Di scuola digitale si parla anche a proposito dei libri di testo, che devono prevedere una parte di materiali online. Per spendere meno o perché servono di più? E poi davvero si spende meno? Chi fa esperienza nelle scuole che hanno già avviato sperimentazioni tecnologiche – iPad per tutti, ad esempio – non sembra così convinto che si risparmi.
Vale la pena di farsi le domande, a cominciare da quelle più importanti, cioè quelle che riguardano l’effettiva utilità degli strumenti digitali ai fini dell’apprendimento. E a questo proposito fa riflettere l’”allarme pensiero” che viene da un gruppo di 40 professori italiani, appartenenti al network Athena della fondazione Pubblicità progresso. Ne riferisce il Corriere della sera “lanciando” un convegno all’Università Cattolica di Milano e la proposta di un vademecum per ovviare a quella che viene definita una “regressione” notata dai docenti negli studenti e cioè il rapido mutamento delle capacità di analisi e di apprendimento, una condizione di costante “attenzione parziale” derivata dall’uso continuativo, talvolta compulsivo – basta guardarsi intorno (magari non solo gli studenti) – dei nuovi strumenti tecnologici, smartphone in primis. I professori del convegno milanese vieterebbero smartphone e iPad in aula, rivalutando l’insegnamento del latino e del greco e il ruolo della scrittura a mano; e vorrebbero regolamentare l’utilizzo delle nuove tecnologie da riservare a ricerche o sperimentazioni.
A dire la verità qualche “allarme” sulle magnifiche sorti e progressive della tecnologia è già arrivato anche da oltre oceano, dove, si sa, si corre veloci. Tuttavia servono, anche in questo caso, la prudenza e la pazienza di una seria sperimentazione, con verifica dei risultati. E in Italia c’è ancora strada da fare. Le aule tecnologiche e gli esperimenti di didattica innovativa non sono poi così diffusi e consolidati e lo slogan della “scuola digitale” resta, appunto, uno slogan, una moda. Non si tratta, certo, di demonizzare i nuovi strumenti tecnologici, né forse è corretto ancorarsi a modelli di apprendimento e di sviluppo dell’intelligenza conosciuti che invece potrebbero ben cambiare, in sostanza considerando il passato “buono” e il futuro, che se ne discosta, sempre “a rischio”. L’intelligenza e l’apertura alla novità comprendono anche la capacità di superare se stesse.
Tuttavia l’allarme che viene dai docenti di Athena va inteso come un utile richiamo alla consapevolezza e alla riflessione, che non possono andare in pensione in ossequio al futuro. Un richiamo a non cedere agli slogan e alle mode, cercando piuttosto di verificare e di dare consistenza a percorsi altrimenti accolti acriticamente come “il nuovo che avanza”, magari anche in certi orientamenti ministeriali. Consapevolezza e riflessione che sono poi le caratteristiche del mondo della scuola e dell’educazione. Per evitare fondamentalismi: giurassici o digitali che siano.

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1 commento

  • Nicola
    21/01/2013 alle 09:56

    Basta capire che la tecnologia è un mezzo. Se priva di contenuti, la tecnologia non serve a niente! Il problema della scuola italiana è l'assenza dei contenuti, la tecnologia è solo venuta ad evidenziare ulteriormente questo aspetto.

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