Di Giancarlo Perego – direttore generale Fondazione Migrantes

ITALIA – “È ora del cambiamento, di una svolta per evitare il peggio”. Sono parole di Abel Jalil, commerciante venuto in Italia dal Marocco oltre 20 anni fa, con tre figli nati in Italia. Jalil e sua moglie Faridi stanno per partire da Bari per andare in Francia, a Lione, perché non riescono più a vivere in Italia, dove il lavoro manca e i costi aumentano.
Nei giorni scorsi il “Financial Times” ha parlato della fuga dei cinesi dall’Italia. La conferma viene da Jiang, insegnante di 34 anni, che organizza a Roma corsi di cinese per figli di immigrati dalla Cina. Ogni settimana ci sono 300 alunni, l’80% dei quali nati in Italia. Interrogata sul suo futuro, la giovane insegnante resta un po’ interdetta: “Fino a cinque anni fa avrei risposto Italia, senza esitare. Oggi non la penso più così: sono tanti i cinesi che vogliono tornare nel proprio Paese d’origine, in Cina, dove oggi esistono più opportunità che in Italia”.
Sono due testimonianze, a cui se ne potrebbero aggiungere migliaia e che riguardano gli immigrati, anche da anni in Italia, che a causa della crisi e per la mancanza di opportunità stanno partendo per altri Paesi o rientrano nella terra di origine. Il recente Censimento della popolazione italiana, che non ha ottenuto risposta da oltre 800mila stranieri risultati irreperibili, è stato il campanello d’allarme: gli immigrati già presenti in Italia si stanno orientando verso il rientro in patria o verso altre mete. Il report recente del 28 dicembre 2012 dell’Istat sulle migrazioni internazionali e interne ha registrato la partenza dall’Italia tra il 2002 e il 2011 di oltre 450mila immigrati: oltre 83mila della Romania, quasi 40mila del Marocco e 35mila cinesi, 23mila albanesi, 13mila dell’Ucraina e della Polonia, 9mila brasiliani e indiani, 5.500 dell’Ecuador e della Moldova, unitamente ad altri 216mila di altre nazionalità. I primi a partire sono le donne e i bambini, seguiti da uomini e capifamiglia, dopo mesi di ulteriori tentativi nella ricerca di un lavoro o di un miglioramento della propria condizione economica. Un’emorragia che l’Istat considera “verosimilmente sottostimata” e che si è aggravata nel 2012. Inoltre il flusso migratorio non sembra destinato a subire una frenata nei primi mesi di quest’anno.
La capacità di attrazione del nostro Paese si sta dunque indebolendo, come si sono già affievolite quelle della Grecia, del Portogallo e della Spagna: un segno della profonda crisi economica e sociale che l’Italia sta vivendo. Per converso cresce la capacità di attrazione di altre nazioni, verso le quali s’incamminano i nostri immigrati oltre quei 50mila giovani italiani che hanno già lasciato il Paese nel corso del 2011. Va ricordato che l’apporto degli immigrati risulta, invece, fondamentale per la tenuta economica e per lo sviluppo del nostro Paese. Per questo c’è da augurarsi che il segnale d’allarme venga raccolto e possa essere fronteggiato attraverso una politica dell’immigrazione che sappia tutelare le persone immigrate e i loro diritti e non annulli gli sforzi d’inserimento nel nostro Paese già profusi da tanti immigrati. Occorrerebbe facilitare l’incontro fra domanda e offerta di lavoro, proseguire percorsi d’integrazione e di cittadinanza, semplificare la burocrazia, favorire l’accesso alla casa, tutelare quel patrimonio d’incontro e di scambio culturale e sociale che le migrazioni hanno creato nel nostro Paese. Ogni forma rinnovata di chiusura, di esclusione sociale, di discriminazione non fa che aumentare l’insofferenza verso il nostro Paese che, già povero, sarà ancora più povero se migliaia di persone inserite nelle nostre attività lavorative, nei servizi alla persona, in agricoltura, nel mondo della ristorazione e nell’artigianato lasceranno ancora l’Italia.

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