Cliccate sul play al centro dello schermo e Vedete dal Minuto 10.20

Foto Simone Incicco articolo di Monica Vallorani

DIOCESI – Ore 21.00 12 gennaio, sabato sera, le campane della Chiesa dell’Annunziata suonano, suonano a raccolta, c’è qualcosa da celebrare insieme. Un’ordinazione diaconale. La chiesa si riempie di bambini, di giovani, di tante persone che vogliono con – dividere, anzi moltiplicare con Matteo la sua emozione e gioia del suo SI al diaconato. Il salone parrocchiale è anch’esso pieno di dolcetti e torte, pronte per festeggiare. La tavola è imbandita. Anzi le Tavole sono imbandite, il vescovo Gervasio per l’imposizione delle mani consacra Matteo diacono perché serva all’altare nella santa Chiesa, e percorra la via della carità come compimento di questa consacrazione.

Nel giorno del Battesimo del Signore, accompagnato dalla sua famiglia, Matteo visibilmente emozionato riceve l’abbraccio di tanti che vi si stringono intorno in una celebrazione partecipata, semplice e accogliente. Ci sono le comunità della parrocchia di origine a Grottammare, di Regina Pacis dove svolge il suo servizio, la comunità dell’Annunziata dove ha maturato la sua scelta, i gruppi scout con cui ha camminato insieme, insieme a tanti amici e ai compagni del seminario, e tanti sacerdoti. Il dono di un nuovo diacono e il cammino intrapreso da Matteo sono un dono che come ricordava in questi giorni di preparazione, è un dono che subito viene ridonato alla Chiesa.

Consacrato diacono è esplosa la gioia nel volto di Matteo rivestito degli abiti diaconali che sono la stola e la dalmatica, dopo la lunga e intensa invocazione dei santi e beati mentre prostato a terra e dopo l’imposizione delle mani del vescovo Gervasio.

Il Vescovo, nella sua omelia, sottolinea che chi riceve il diaconato “viene assimilato a Cristo servo” che ha ricevuto il Battesimo nel Giordano “per mostrarsi umile servo dei fratelli  e per dare a noi l’esempio di vita vera” e vive perciò nella sua vita “una morte a se stesso e resurrezione consegnandosi senza riserve al Signore e alla Chiesa. Con un gesto pieno di libertà rinuncia a se stesso perde quasi la propria identità, per ritrovarla esaltata nella dedicazione a Cristo con la dedizione alla comunità della chiesa del Signore.” E quindi il diacono deve pensare e il suo cuore deve agitarsi per trovare gioia nel servizio di una comunità, ma è Cristo il solo e vero unico riferimento, il diacono è servo di Gesù e quindi della comunità ecclesiale. Perché “la Comunità non è nostra e non è il fine, ma appartiene al Signore ed è solo un mezzo per il Regno, la Chiesa non è un idolo ma il dono straordinario e necessario per arrivare a Lui. Chi serve la Chiesa serve il Signore, chi ama la Chiesa ama Gesù. Il diacono perciò serve senza riserve la comunità perché si è donato al Signore”. Con quale stile: quello del “quando avete fatto tutto quello che dovevate dite siamo servi inutili.”

Il Vescovo, infine esorta il nuovo diacono, a essere servo dell’amore di Gesù che ama, ricordandogli di consegnarsi a Lui senza timore.  Il Signore “che ti chiama e si fida di te, Matteo, così potrai servire la nostra gente con generosità e umiltà. Non mancheranno le fatiche ma avrai tante consolazioni spirituali.”

Alla fine della Messa amici e parenti si sono stretti in un grande abbraccio intorno a Matteo, tra gli altri a fargli gli auguri erano presenti anche il Sindaco di Grottammare Luigi Merli e il Sindaco di Monteprandone Stefano Stracci.

Le parole del nostro Vescovo Gervasio Gestori:

“Carissimi,
celebriamo questo festoso rito dell’ordinazione diaconale di Matteo Calvaresi, nella domenica che ricorda il battesimo del Signore. Benedetto XVI nel suo libro su Gesù di Nazaret commenta questo evento della vita di Cristo con chiare parole: “Da un lato, nell’immergersi nell’acqua c’è il simbolismo della morte, dietro il quale c’è il diluvio che annienta e distrugge…Ma in quanto (acqua) corrente, è soprattutto simbolo di vita…Vi è in gioco la purificazione, la liberazione dal sudiciume del passato, che pesa sulla vita e la altera; si tratta di un nuovo inizio…Si potrebbe quindi dire che si tratta di rinascita” (Gesù di Nazaret, p.36).
Dunque, secondo il Papa, il battesimo di Cristo nel fiume Giordano ha molti significati: è un richiamo di morte e di risurrezione, parla di purificazione dello spirito, è gesto di rinnovamento della vita. Perché Gesù si sottopose a questo rito? Egli evidentemente non aveva bisogno, ma volle compiere questo gesto soprattutto per mostrarsi umile servo dei fratelli e per dare a noi un esempio di vita.

Un cristiano che riceve l’ordine del diaconato viene assimilato a Cristo servo e rivive nella sua vita una specie di morte a se stesso e di risurrezione, consegnandosi totalmente e senza riserve al Signore ed alla sua Chiesa. Egli con un gesto di piena libertà rinuncia a se stesso e quasi perde la propria identità, per ritrovarla poi realizzata ed esaltata nella dedicazione a Cristo e con la dedizione non ad una qualsiasi comunità, ma a quella unica e santa, che è la Chiesa del Signore.
Il diacono dunque vive la propria identità smettendo di pensare a se stesso ed abbattendo il muro che cerca di tenerlo prigioniero: quello dei propri pensieri, dei suoi desideri, della voglia individuale di una sua realizzazione, della ricerca di soddisfazioni pur lecite e belle.
Ma allora, a chi il diacono deve pensare? Di che cosa deve interessarsi? Quali saranno le sue principali preoccupazioni? Per che cosa deve agitarsi il suo cuore per poi trovare il desiderato riposo?
Rimane fondamentale la consegna alla Chiesa, la decisione di servire una particolare comunità di credenti. Ma questo non basta per definire il suo essere servo e per trovare la risposta al proprio bisogno di felicità, perché la Chiesa non è realtà ultima nel piano di Dio. Essa è realtà “penultima” rispetto a Cristo, che rimane il solo e vero punto di riferimento e di significato Il diacono è servo di Gesù e per questo diventa servo della comunità ecclesiale.

A Pietro Gesù disse: “Tu sei Pietro e su questa pietra che sei tu io edificherò la mia Chiesa”. La comunità non è nostra e non è il fine. Essa appartiene al Signore ed è solo un mezzo per il Regno. La Chiesa non è un idolo, ma il dono straordinario e necessario per arrivare a Lui. Essa è la Sposa, intimamente unita al suo Sposo e da Lui infinitamente amata. Chi serve la Chiesa, serve il Signore, e chi ama la Chiesa, ama Gesù.
A questo punto si chiede al diacono-servo di donarsi senza calcoli umani alla comunità, perchè senza riserve si è donato al Signore. In questo si realizza il suo ministero, che qui vive la sua bellezza e la sua gioia che nessuno può rubare.
Quando Giovanni Paolo II parlava di nuova evangelizzazione, domandava a tutti i ministri della Chiesa non tanto l’annuncio di contenuti nuovi, che potevano al limite diventare anche un tradimento del sacro deposito della fede, ma voleva una strategia nuova, fondata soprattutto su un rinnovato modo di essere, su un nuovo stile di vita.
Quale? “Quando avete fatto tutto quello che dovevate fare, dite: noi siamo servi inutili. Abbiamo compiuto il nostro dovere”. Ecco la risposta, antica e sempre attuale: abbiamo servito.

Il pericolo grave che oggi incombe sulla comunità cristiana è quello di apparire sempre di più come una “setta”, con un proprio linguaggio ecclesialese, i propri riti, le proprie autoreferenzialità, smarrendo la semplicità del Vangelo. Chi ci ascolta, e prima ancora, chi ci vede, sente nascere
dentro di sé l’aspirazione commossa di una vita buona? E desidera gustare nel proprio cuore un bisogno autentico di felicità vera? Avviene questo nelle nostre comunità per quello che si vede e per quanto si ascolta?

Il grande filosofo Platone affermava che l’educazione passa attraverso la via erotica, perchè l’amore è il canale efficace di trasmissione del bello e del nuovo. L’amore fa conoscere, il cuore apre la mente, la vicinanza affettiva cambia la vita. Il nuovo evangelizzatore, servo di Cristo, non parlerà soltanto alla intelligenza, cosa pure importante, perché la “buona notizia”, il Vangelo possa arrivare al cuore.

La Chiesa, questa nostra Chiesa, sarà capace ancora di futuro, se saprà parlare umilmente con la gioia del cuore alla vita della gente.

Nella “Conversazioni notturne a Gerusalemme”, al Card. Martini viene chiesto: “Quale domanda rivolgerebbe a Gesù, se ne avesse la possibilità?”. Risponde: “Gli domanderei se mi ama, nonostante io sia così debole e abbia commesso tanti errori; io so che mi ama, eppure mi piacerebbe sentirlo ancora una volta da lui”.

Bellissimo! Sentirsi dire dal Signore che mi ama.

Carissimo Don Matteo, sentirsi dire da Gesù che ti ama! Sii certo di questo amore, non dimenticare mai questa consolazione, vivi questa forza. Sentirsi amati da Lui è il segreto di una vita serena ed è la causa della nostra gioia. A noi tocca amare Lui con tutto noi stessi: è il primo comandamento, quello che ci libera da ogni preoccupazione e ci rende umani. Perchè amare Dio significa diventare umani e quindi essere quello che dobbiamo essere.

La società attuale è stata definita come società liquida e come l’era delle passioni tristi, in cui il futuro incombe quale minaccia che incute ansia e paura. In questa società la Chiesa ha ancora un futuro?

Carissimo, diventando diacono hai davanti a te questo mondo, con i suoi limiti e le sue enormi aspettative, i suoi bisogni e le sue speranze, le sue apparenti sicurezze e le sue profonde fragilità. E’ un mondo che grida aiuto, anche se tanta gente non lo sa.

Tu ama il Signore, sii servo di Gesù, non temere di consegnarti con tutto te stesso Lui, che ti chiama e che si fida di te. E così potrai servire la nostra gente con verità.

Non ti mancheranno le fatiche, ma avrai anche tante consolazioni spirituali”.

Entra a far parte della Community de L'Ancora (clicca qui) attraverso la quale potrai ricevere le notizie più importanti ed essere aggiornati, in tempo reale, sui prossimi appuntamenti che ti aspettano in Diocesi.

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *