CHIESA – La povertà della Santa Famiglia di Nazaret è evidenziata da Luca nel suo Vangelo; così anche l’umiltà, che pervade tutta la storia di questa coppia chiamata a un compito davvero unico: custodire e far crescere il Figlio di Dio. Fedeli alla tradizione, Maria e Giuseppe sono andati a Gerusalemme per la Pasqua, con Gesù dodicenne, ricorda il Papa all’Angelus, ultimo appuntamento domenicale di questo anno. La prima volta è stata quaranta giorni dopo la nascita, “quando i suoi genitori avevano offerto per lui una coppia di tortore o di giovani colombi, cioè il sacrificio dei poveri”. Il tornare a Gerusalemme, in questa occasione, commenta Benedetto XVI, “ha un ruolo differente che lo coinvolge in prima persona”; così quando devono ripartire per Nazaret, Maria e Giuseppe, che lo hanno cercato per tre giorni, trovano Gesù nel tempio “a colloquio con i maestri della legge”. Scrive il Papa nel suo volume sull’infanzia di Gesù: “Quando gli chiedono spiegazioni, Gesù risponde che non devono meravigliarsi, perché quello è il suo posto, quella è la sua casa, presso il padre, che è Dio”. Commenta Benedetto XVI: “I genitori si preoccupino seriamente della crescita e dell’educazione dei propri figli, perché maturino come uomini responsabili e onesti cittadini, senza dimenticare mai che la fede è un dono prezioso da alimentare nei propri figli anche con l’esempio personale”.
Significativo questo Angelus nei giorni in cui a Roma 40 mila giovani stavano partecipando all’incontro internazionale di Taizé. Comunità che nasce negli anni dell’immediato dopoguerra in una località, Taizé appunto, per volontà di frère Roger per accogliere prigionieri di un vicino campo nazista e giovani rimasti orfani. Oggi la comunità conta un centinaio di fratelli, cattolici e di diverse origini evangeliche, provenienti da quasi trenta nazioni. Non è frutto del Concilio, Taizé; ma del Vaticano II accoglie, anzi in un certo senso anticipa, le aperture e la volontà di dialogo.
E proprio il Concilio, con Paolo VI, consegna l’ultimo dei messaggi al mondo proprio ai giovani e alle giovani, chiamati ad accogliere la fiaccola dalle mani dei genitori “nel momento delle più gigantesche trasformazioni” della storia del mondo. E li esortava “ad ampliare i vostri cuori secondo le dimensioni del mondo, a intendere l’appello dei vostri fratelli, e a mettere arditamente le vostre giovani energie al loro servizio. Lottate contro ogni egoismo. Rifiutate, di dar libero corso agli istinti della violenza e dell’odio, che generano le guerre e il loro triste corteo di miserie. Siate: generosi, puri, rispettosi, sinceri… La Chiesa vi guarda con fiducia e con amore”.
È ai giovani che Giovanni Paolo II più volte si rivolge chiamandoli “il futuro del mondo, la speranza della Chiesa, la mia speranza”. Per loro inventa la Gmg. È ai giovani che Benedetto XVI guarda in un tempo in cui non pochi di loro “dubitano profondamente che la vita sia un bene e non vedono chiarezza nel loro cammino”. Di fronte alle difficoltà del mondo, scrive papa Benedetto nel messaggio per la Giornata mondiale della gioventù di Rio de Janeiro, molti giovani si chiedono: “Io che cosa posso fare?”. La luce della fede, risponde il Papa, “illumina questa oscurità, ci fa comprendere che ogni esistenza ha un valore inestimabile, perché frutto dell’amore di Dio”.
Ed ecco che tornano le parole del messaggio ai giovani dell’8 dicembre 1965, a conclusione del Concilio: la Chiesa, scrive Benedetto XVI, “nel continuare questa missione di evangelizzazione, conta anche su di voi. Cari giovani, voi siete i primi missionari tra i vostri coetanei”. Ricorda, quindi, le parole consegnate da Paolo VI: “Siete voi che, raccogliendo il meglio dell’esempio e dell’insegnamento dei vostri genitori e dei vostri maestri, formerete la società di domani: voi vi salverete o perirete con essa”. E concludeva con un appello: “Costruite nell’entusiasmo un mondo migliore di quello attuale”.
Un invito di grande attualità, scrive ancora il Papa, perché “stiamo attraversando un periodo storico molto particolare: il progresso tecnico ci ha offerto possibilità inedite d’interazione tra uomini e tra popolazioni, ma la globalizzazione di queste relazioni sarà positiva e farà crescere il mondo in umanità solo se sarà fondata non sul materialismo ma sull’amore, l’unica realtà capace di colmare il cuore di ciascuno e di unire le persone. Dio è amore. L’uomo che dimentica Dio è senza speranza e diventa incapace di amare il suo simile. Per questo è urgente testimoniare la presenza di Dio affinché ognuno possa sperimentarla: è in gioco la salvezza dell’umanità e la salvezza di ciascuno di noi”.
Fratel Alois, priore di Taizé, invita i giovani che sono venuti a Roma a incontrare Cristo, che “non ha insegnato una teoria, ha vissuto una vita umana simile alla nostra”. Avere fiducia in lui perché “ha accettato di essere incompreso ed escluso lui stesso per non rinnegare l’amore di Dio per i poveri e gli esclusi”. La fiducia in Cristo, scrive ancora fratel Alois, “ci apre alla fiducia nell’avvenire e alla fiducia negli altri. Essa ci sprona ad affrontare coraggiosamente i problemi della nostra esistenza e del nostro tempo… la fede ci porta a non avere paura né dell’avvenire né dell’altro”.
Leggiamo cosa diceva ancora il Concilio ai giovani: “Ricca di un lungo passato sempre in essa vivente, e camminando verso la perfezione umana nel tempo e verso i destini ultimi della storia e della vita, essa (la Chiesa) è la vera giovinezza del mondo. Essa possiede ciò che fa la forza o la bellezza dei giovani: la capacità di rallegrarsi per ciò che comincia, di darsi senza ritorno, di rinnovarsi e di ripartire per nuove conquiste. Guardatela, e voi ritroverete in essa il volto di Cristo, il vero eroe, umile e saggio, il profeta della verità e dell’amore, il compagno e l’amico dei giovani”.

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