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L’attualità nelle omelie dei vescovi: appello per le carceri

ITALIA – Nelle omelie dei vescovi nella messa di Natale sono stati richiamati i più impegnativi temi di questo tempo. Ad esempio, l’importanza della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, una società a misura d’uomo se plasmata dal genio femminile e la bellezza e la responsabilità di vivere da figli di Dio sono stati alcuni spunti della riflessione del card. Angelo Scola. Particolare preoccupazione per le condizioni dei detenuti è stata dedicata da più vescovi nelle omelie pronunciate in occasione del Natale in diverse carceri.

La strada dell’amore. “Siamo chiamati in questo santo giorno a contemplare la strada che Dio ha scelto per venirci incontro. Dio ci viene incontro come un bambino: nato da Maria Vergine e custodito da Giuseppe, il giusto. Ci viene incontro in una famiglia. Ecco perché la Chiesa non cessa mai di richiamare la verità fondamentale della famiglia, fondata sul matrimonio pubblico, stabile, fedele, aperto alla vita tra un uomo e una donna”. Lo ha detto stamattina, nella messa del giorno di Natale, nel duomo, il card.Angelo Scola arcivescovo di Milano. “Anche il Figlio di Dio, quindi, ha imparato la propria umanità vivendola e soffrendola insieme in famiglia – ha chiarito -. Celebrare il Santo Natale è, per questa ragione, un’occasione privilegiata per riconoscere grati la strada che Dio ci ha donato per diventare uomini. Quella strada dell’amore che trova nella famiglia la sua prima e originaria espressione”. In realtà, “la benefica venuta del Dio bambino, tesa alla croce e alla risurrezione che ci salva, esprime il Suo amore tenace a tutte le famiglie, anche a quelle provate negli affetti e segnate dalla crisi, dalla perdita e dalla mancanza di lavoro o di sicurezza per il futuro nella giovinezza o della meritata pensione. Dio è vicino ad ogni papà, ad ogni mamma, ad ogni figlio che è dono e segno della Sua benedizione”.

Il genio femminile. “Gli inizi della salvezza sono affidati a una donna ed è necessario – in una società maschilista come la nostra – riflettere su questo fatto”. Lo ha detto, stamattina, il patriarca di Venezia, mons. Francesco Moraglia, nella basilica di San Marco. “La cultura che pone l’uomo-maschio al centro di tutto ha così pervaso la nostra società – ha sottolineato – che è riuscita a far credere, a non poche donne, che l’unico modo per ‘realizzarsi’ consiste nell’assomigliare all’uomo, nel copiare l’uomo, assumendone gli stili, i comportamenti, la gestualità, i linguaggi e passando sotto silenzio ciò che caratterizza lo specifico del genio femminile, compresa la maternità”. E, infatti, “dare e custodire la vita sembra essere diventato oggi, nell’evoluto Occidente, un problema”. Ed è uno dei motivi dell’inverno demografico del “nostro Occidente post-moderno, secolarizzato e scristianizzato”. Invece, “se la nostra società desse maggior spazio alla donna, alla sua specificità, alla sua capacità d’accogliere e custodire la vita, allora ci si muoverebbe su logiche, prospettive e idealità più accoglienti, meno conflittuali e più a misura d’uomo”. “Se la convivenza sociale a tutti i livelli, anche istituzionali – ha aggiunto -, si lasciasse plasmare di più dal genio femminile, allora si avrebbe maggiore equilibrio a livello personale ma, anche, sociale e si darebbe una convivenza più armonica e serena”.

Vivere da figli di Dio. “Cosa vuol dire celebrare il Natale di Gesù, la sua nascita nella storia, ‘per noi’?”. È la domanda che ha posto stamattina, nell’omelia della messa in cattedrale, mons. Mauro Parmeggiani, vescovo di Tivoli. “Significa – ha risposto – che Dio in Gesù si fa accessibile all’uomo di ieri come a quello di oggi che ancora può accostarsi a Dio tramite la sua Parola, i sacramenti, la sua Chiesa che nel tempo prolunga, mossa dallo Spirito, la presenza di Dio nel mondo… e che noi se crediamo nel nome di Cristo, cioè che in Gesù la salvezza che viene da Dio si è resa accessibile a noi medesimi, allora anche per noi c’è una nuova origine. Non siamo più originati nel peccato ma da Dio e in Dio!”. Così “la nostra vera ‘genealogia’ è la fede in Gesù, che ci dona una nuova provenienza, ci fa nascere ‘da Dio’”. Siamo dunque chiamati, oggi, “non solo a commuoverci per una bella festa di famiglia”, ma “a comprendere la bellezza ma anche la gravità di responsabilità che Gesù diventando il ‘Dio con noi’ ci chiede: la bellezza e la responsabilità di vivere nel mondo come figli di Dio!”. Così “siamo chiamati con il Natale a dare volto a Dio nel mondo e nella storia perché abbiamo creduto nel nome di Gesù, accolto la dignità di diventare figli di Dio e riceviamo grazia su grazia per compiere questa nostra missione”.

Vicini ai detenuti. La Chiesa italiana è molto vicina alle problematiche dei detenuti anche a Natale, come testimoniano le diverse Messe celebrate all’interno delle principali carceri del Paese in questi giorni. L’auspicio che il carcere sia un ambiente “sempre meglio adeguato” e che possa aiutare di più “il reintegro di ciascuno” è stato espresso dal presidente della Conferenza episcopale italiana e arcivescovo di Genova, il card. Angelo Bagnasco, nel corso dell’omelia della celebrazione natalizia (clicca qui) che ha presieduto con i reclusi del Marassi. “Nei vostri cuori c’è il giusto desiderio di libertà e di essere a pieno titolo cittadini del mondo con le proprie responsabilità, i propri diritti e i propri doveri”, ha detto il cardinale. Di condizioni inaccettabili delle carceri italiane dovute al sovraffollamento, invece, ha parlato l’arcivescovo di Milano, il card. Angelo Scola, nella messa con i detenuti di San Vittore. Per il porporato, in vista delle prossime elezioni è importante che tutte le forze politiche “esplicitino nel programma elettorale come intendono occuparsi delle carceri”. Perché se l’Italia vuole uscire dalla situazione di crisi attuale, ha aggiunto il card. Scola, “deve dare segnali chiari rispetto ai luoghi di sofferenza come le carceri, la condizione degli anziani, del lavoro, dei giovani”.