Il Natale che stiamo per celebrare ha un’importanza non solo religiosa ma a ben vedere anche culturale. Per noi cristiani con la nascita di Gesù l’infinito ha preso una forma e l’invisibile è divenuto tangibile. Quel divino che per i nostri fratelli ebrei e musulmani non è possibile rappresentare perché Dio, pur rivelandosi all’uomo e prendendosi cura del mondo, è totalmente altro rispetto ad essi, noi cristiani, in virtù dell’Incarnazione, lo raffiguriamo.

Possiamo quindi dire, senza paura di sbagliare, che è stata l’Incarnazione a determinare l’incredibile sviluppo delle arti figurative sia in Oriente che in Occidente dove il cristianesimo era ampiamente diffuso. Nel corso dei secoli i vari artisti hanno fatto a gara con le più disparate tecniche (mosaico, pittura, scultura, ecc) per far conoscere la vita di Gesù al popolo cristiano e rendere presente agli occhi e al cuore dei fedeli il Mistero.

È bene anche ricordare che è stata la Chiesa a promuovere le arti figurative commissionando ai migliori artisti le opere che avrebbero abbellito e arricchito le chiese dove la comunità dei cristiani vive e celebra i suoi riti. È grazie a questa opera di “mecenatismo ecclesiastico” che oggi in Europa,  e in particolare in Italia, possiamo ammirare alcuni dei più straordinari capolavori del genio umano.

Per capire meglio come il mistero dell’Incarnazione e lo sviluppo delle arti siano strettamente collegati, ci facciamo aiutare dalle parole di un grande Padre della Chiesa e grande difensore del culto delle immagini: San Giovanni Damasceno

Il tema dell’immagine è presente in brani fondamentali della Sacra Scrittura. Proprio all’inizio della storia della salvezza leggiamo che Dio creò l’uomo e la donna “a sua IMMAGINE e somiglianza” (Gen 1,27). Possiamo quindi dire che Dio è stato il primo artista e infatti San Giovanni Damasceno scrive: “Dio stesso è stato il primo che ha fatto un’immagine ed ha mostrato delle immagini. Infatti, egli ha creato l’essere umano secondo la sua immagine”. La vena artistica è nel DNA di Dio!

Cristo stesso poi, secondo la testimonianza dell’Apostolo Paolo, è “IMMAGINE del Dio invisibile” (Col, 1,15). Dunque di questo Dio,  reso visibile da Cristo e dalle sue immagini, si può fare esperienza, come ancora ci ricorda il Damasceno che, citando la Sacra Scrittura, dice: “Beati, i vostri occhi perché vedono e le vostre orecchie perché odono. Poiché in verità vi dico che molti profeti e giusti desiderarono vedere ciò che voi vedete e non lo videro e udire ciò che voi udite e non lo udirono. Anche noi desideriamo vedere, per quanto è possibile vedere, e attraverso le sacre immagini anche noi siamo proclamati beati”.

Per il Damasceno addirittura l’arte sacra ha una funzione sacramentale attraverso la quale la santità di Dio giunge a noi: “Noi esponiamo dovunque con mezzi sensibili la
figura proprio di lui, incarnato Verbo di Dio, e santifichiamo il primo dei nostri sensi, la vista, così come santifichiamo anche l’udito con le parole (ascoltando la parola di Dio, ndr): l’immagine infatti è memoria. Ciò che è il libro per coloro che conoscono la scrittura, questo è l’immagine per gli illetterati e ciò che è parola per l’udito, questo è anche l’immagine per la vista”.

Se il cristiano crede veramente che il Verbo di Dio si è fatto carne, cioè che l’invisibile si è reso tangibile, anche il suo rapporto con Gesù sarà concreto e realizzato attraverso ciò che è materiale. Non è possibile realizzare un incontro col Dio cristiano su un piano esclusivamente intellettuale. Solo se tutta la persona umana è coinvolta, non solo con  l’anima ma anche  col corpo, allora è possibile l’incontro col Signore  come ben illustrato ancora da San Giovanni: “Se tu dici che bisogna accostarsi a Dio soltanto con la mente, allora elimina tutte le cose materiali, le lampade, l’incenso profumato, la stessa preghiera espressa attraverso la voce, gli stessi sacramenti divini che sono compiuti con la materia, il pane, il vino e l’olio. Elimina quindi la venerazione di tutte queste cose- e ciò non è possibile!- oppure non rifiutare neanche l’onore delle immagini”.

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