ITALIA – Nello spettacolo andato in onda lunedì 17 dicembre su Rai 1 intitolato “La più bella del mondo”, Roberto Benigni ha tenuto una magistrale lezione esegetica sui primi dodici articoli della nostra Costituzione. L’artista non è nuovo in questo genere di show, avendo già commentato nello stesso modo diversi canti della Divina Commedia e l’Inno d’Italia.

La lettura che Benigni ha fatto di questi testi è risultata sempre piacevole ed avvincente ed  il grande successo ottenuto gli è derivato dal fatto che è riuscito a toccare in modo semplice, comunicativo e alla portata di tutti i grandi temi che stanno a cuore ad ogni uomo.
La sua non è una lettura autoreferenziale, scolastica o accademica (con tutto il rispetto per gli insegnanti e i professori!) ed è proprio per questo che riesce a tenere incollati al televisore milioni di spettatori nonostante gli argomenti trattati siano molto impegnativi.

Parlare per due ore di temi così elevati, con poche pause e senza mai perdere il filo del discorso, riesce bene solo ai politicanti o ai geni!
Per acutezza e profondità, tutte le spiegazione che l’artista ha fatto a proposito di ogni articolo della Costituzione meriterebbero di essere riprese e commentate. In questa sede tuttavia ci preme sottolineare quanto Benigni ha affermato a proposito dell’articolo 7 che riguarda i rapporti dello Stato con la Chiesa Cattolica.

Innanzitutto vogliamo constatare e apprezzare che Benigni non ha cavalcato l’onda di un certo anticlericalismo tanto in voga.
Al contrario di molti intellettuali che sbrandellano la Costituzione, prendendone alcuni suoi articoli per portare avanti le proprie battaglie culturali e, allo stesso tempo, bollando come sorpassati quelli che non rispondono alla propria ideologia,, Benigni ha parlato dell’articolo 7 con lo stesso tenore ed entusiasmo che ha dedicato agli altri, ponendolo per importanza sul loro stesso piano.

Dopo aver ricordato e contestualizzato la nascita dei Patti Lateranensi, sottoscritti dall’Italia al fine di risarcire il Papa (e la Chiesa) per l’occupazione dello Stato Pontificio, Benigni ha affermato: “Lo Stato e la Chiesa, ciascuno nel proprio ordine, sono indipendenti e sovrani… Come diceva Cavour: Libera chiesa in libero stato, ma come diceva tanto tempo prima Gesù Cristo, il primo laico: Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”.

Fa piacere che Benigni abbia ricordato quello che molti oggi in Occidente dimenticano e cioè che il primo personaggio nella storia a formulare il concetto della laicità è stato proprio Gesù.

Prima di lui, infatti, in tutte le società vigeva un regime teocratico, dove religione e politica erano fuse: basta pensare al Faraone che era allo stesso tempo capo religioso e politico dell’Egitto, anzi egli stesso era adorato e venerato come un Dio. La stessa cosa si può dire dell’imperatore romano.
È stato merito di Cristo e dei suoi seguaci se nei secoli successivi si è potuto avviare un vero e proprio processo di desacralizzazione del potere civile.

Quando Benigni ha citato la massima evangelica “Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” ha forse dimenticato però che Cesare e Dio non stanno sullo stesso piano e che quindi l’affermazione di Gesù ha come naturale corollario il primato della coscienza sulla legge dello Stato.

Ma l’errore più grosso compiuto da Benigni è quello di vedere una contiguità fra la massima di Cristo, il pensiero di Cavour e il dettame costituzionale.

La nostra carta costituzionale afferma, come già detto, che “Lo Stato e la Chiesa, ciascuno nel proprio ordine, sono indipendenti e sovrani”. Ciò significa che il potere religioso e quello politico sono irriducibili l’uno all’altro e fra essi non dipendenti.

L’impostazione di tale articolo, anche se molti lo ignorano, è di chiara matrice cattolica. In essa addirittura si può sentire l’eco delle parole del magistero ecclesiastico laddove Leone XIII nell’enciclica Immortale Dei del 1885 così si esprimeva: “La Chiesa nel suo ordine e nella sua costituzione giuridica è società perfetta al pari dello Stato”. Se si volesse tradurre in uno slogan si potrebbe dire “Libera Chiesa E Libero Stato”.
Nulla a che vedere quindi con il ben noto pensiero di Cavour “Libera Chiesa IN Libero Stato”. In tale espressione di stampo protestante la Chiesa, benché definita libera, è comunque sottomessa alla legge dello Stato e non gode dunque di una vera ed effettiva libertà.
Siamo quindi debitori al pensiero ed alla tradizione cattolica, e non ad un rigurgito di anticlericalismo ottocentesco, se il principio della laicità dello stato è entrato a far parte della nostra Costituzione.

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