Omelia del Vescovo Gervasio Gestori in occasione della Festa di Santa Barbara. 

“Porgo il mio deferente saluto a tutte le Autorità civili e militari presenti a questa celebrazione. Saluto in particolare il Comandante della nostra Capitaneria di Porto e tutti suoi Collaboratori, che oggi ricordano con noi e con amici e familiari la loro Patrona Santa Barbara.

In questa occasione desidero condividere per un momento alcune riflessioni, che ci possono stare a cuore per la loro attualità e per la loro rilevanza sociale.

Qualche giorno fa, era il 14 novembre, ricorreva il decennale della visita ufficiale di Giovanni Paolo II, ora beato, al Parlamento del nostro Paese. In quella solenne circostanza il Papa ebbe a dire ai rappresentanti del Popolo Italiano parole di alto valore civile. Dopo avere ricordato alcuni principi di ordine universale, il Pontefice aggiunse: “Non viviamo in un mondo irrazionale o privo di senso, ma al contrario, vi è una logica morale che illumina l’esistenza umana”. Era un chiaro appello alla legalità ed all’esistenza di un insieme di diritti e di doveri naturali, che devono stare alla base di ogni sana convivenza.

Siamo tutti convinti che la nostra società non debba considerarsi condannata a vivere nel disordine e nel disorientamento, né tanto meno sia necessariamente antiumana, anche se richiede di essere saggiamente guidata da ideali alti ed efficaci. Una società può e deve vivere diritti e doveri fondamentali, che non sorgono per caso, né solo per volontà di una maggioranza, perché trovano la loro radice oggettiva nel cuore di ogni uomo. Essi vanno esercitatiti nella fedele quotidianità della vita e domandano impegno da parte di tutti, e specialmente da parte di chi ha delle responsabilità pubbliche. Conseguentemente il Papa ricordava ai Parlamentari: “La vostra attività si qualifica in tutta la sua nobiltà nella misura in cui si rivela mossa da un autentico spirito di servizio ai cittadini”.

Richiamo alto ed attuale questo del Pontefice in quella solenne occasione.

Oggi, purtroppo, aldilà delle comode e inconcludenti lagnanze tradizionali, non mancano seri motivi per lamentarsi, se appena misuriamo l’enorme distanza esplosa tra quegli ideali e quelle parole del Pontefice e una deplorevole situazione concreta, non certo globale, ma abbastanza diffusa, che domanda di essere fermata.

La storia anche recente non è priva di persone, “che hanno lavorato per fare un’Italia migliore e grande, credibile ed autorevole, all’altezza dell’Europa e del mondo”, ha detto il Card. Bagnasco a Montecitorio nella circostanza appena ricordata. Occorre proseguire la linea migliore tracciata da queste persone, politici, amministratori, servitori dello Stato, persone di Chiesa, affrontando le sfide che nell’ora presente stiamo vivendo, con la necessaria competenza e con il doveroso impegno richiesto. Non ci mancano le forze, né mancano gli esempi.

“Prima di uno Stato, diceva il Cardinale presidente dei vescovi italiani, vi è lo spirito di un Popolo…e non può esistere una comunità di vita e di destino se non esiste un’anima comune fatta di principi e di valori spirituali, morali e culturali”. Occorre non solo a parole “nutrire una convinta e meditata fiducia nel patrimonio di virtù e di valori trasmesso dai nostri avi…E’ sulla base di una simile fiducia che si possono affrontare con lucidità i problemi…del momento presente e spingere anzi audacemente lo sguardo verso il futuro” (Giovanni Paolo II).

La situazione attuale nei suoi molteplici aspetti sociali e politici non permette lecitamente lo sconforto, che a nulla servirebbe e che risulterebbe anche comodo, perché dispensa dall’assumere gli impegni che spettano a ciascuno, anche se la tentazione talvolta ci sfiora ed il giudizio deve rimanere spesso negativo.

Mi lascio prendere da un ipotetico sogno. Ho pensato ad un mondo, dove la persona, ogni persona, anche la più fragile e la più emarginata, viene considerata nella sua intangibile dignità, dall’inizio della sua esistenza fino al naturale compimento della vita. Ho sognato un mondo, anche quello piccolo dei quartieri, dei caseggiati e dei paesi, in cui viviamo, dove la pace viene ricercata sempre, dove il dialogo rispettoso è assunto come metodo, dove la legalità viene insegnata e non derisa nelle case e nelle scuole. Ho sognato un mondo dove il lavoro è offerto a tutti e la giusta retribuzione è garantita a chi si comporta con onestà. Ho pure sognato un mondo dove il merito viene riconosciuto e premiato, contro ogni forma di clientelismo, che spesso genera mediocrità. Ed ho sognato che i costi di una certa politica sono tagliati e che la macchina amministrativa è semplificata e resa efficiente al servizio di tutti i cittadini. Ho sognato pure un mondo, dove la giustizia è aperta all’amore e dove i più deboli sono ascoltati e valorizzati.

Un sogno, forse troppo arduo per diventare realtà, ma non privo di una sua attrattiva ideale, di una affascinante utopia e di una forte esigenza di impegno da parte di tutti noi. Ciascuno è chiamato a fare la sua parte. Quando è uno solo a sognare il sogno rimane tale, ma quando si è in tanti, è stato detto, allora il sogno può diventare realtà. Fortunatamente non mancano esempi generosi.

Nei mesi passati ho molto ammirato l’opera importante e difficile dei sommozzatori della nostra Capitaneria, quando intervenuti all’isola del Giglio sono entrati nello scafo della nave da crociera Concordia: non erano pochi i rischi che affrontavano, ma questi uomini hanno agito con abilità e con ottimi risultati, facendo scuola anche per un eventuale futuro. Ho sentito allora il dovere di rendermi presente in Capitaneria per condividere la soddisfazione di un gesto significativo e per una parola di elogio ampiamente meritevole.

In alcuni momenti si richiede coraggio per essere fedeli al proprio dovere e per servire il bene comune. Ma è soprattutto la quotidianità del vivere, che costruisce il tessuto sociale nuovo, ed è la serietà dell’agire da parte di tutti, che permette di lasciare un futuro migliore.

Per coltivare ogni giorno l’umile orgoglio di una coscienza onesta e per vivere questo alto senso del proprio dovere c’è bisogno di assistenza dall’Alto, perché soli ci sentiamo fragili. La festa di Santa Barbara è l’annuale occasione opportuna per chiedere questo aiuto al Signore, oltre che per un doveroso ringraziamento a Dio ed a quanti operano accanto al nostro mare, nel vivo ricordo dei nostri cari defunti”.

+ Gervasio Gestori

Vescovo

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