Carissimi,
la solenne celebrazione di questa sera ha chiaramente un duplice punto di riferimento: il Vangelo appena proclamato con l’atteggiamento di quella vedova ed il rito dell’ordinazione diaconale.

Saluto tutti con vivo affetto, ed in particolare saluto i fedeli della Comunità di Cristo Re con il loro Parroco ed i parrocchiani di Cupra qui convenuti, mentre ringrazio di cuore quanti hanno contribuito alla formazione vocazionale e pastorale di Roberto Traini, giovane già impegnato nelle fila dell’Azione Cattolica ed educato nel nostro Seminario Regionale. Un affettuoso saluto pieno di gratitudine esprimo alla sua amata famiglia.

Nel vangelo Gesù fa notare ai discepoli l’enorme differenza tra il gesto delle tante persone ricche, che gettano con ostentazione nel tesoro del tempio molte monete, e quello della donna, che offre solo “due monetine, che fanno un soldo”. Mentre quei ricchi offrono del loro superfluo senza sacrifici, questa vedova, “nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”.

Questa povera donna, come la vedova di Zarepta di cui parlava la prima lettura,  si libera del poco necessario che possiede, si priva della sua misera sicurezza per abbandonarsi completamente alla Provvidenza di Dio. Questo è l’atteggiamento tipico della fede sincera: il credente si affida a Dio, con la  certezza che Lui, Signore e Padre, non può dimenticare i suoi figli. Occorre coraggio per scelte come questa, occorre il coraggio della fede, un coraggio carico di rischio umano, ma reso sicuro dalla fiducia in Dio Provvidente, al quale nulla è impossibile.

L’atto della vedova di gettare nel tesoro del tempio quelle due monetine viene compiuto quasi furtivamente, è gesto vissuto con discrezione, ha il dolce sapore della preghiera, esprime l’umile abbandono della fede, conosce il calore dell’amore, anche se il valore monetario è irrilevante. Sì, quel dono in sé è poca cosa, ma la dimensione del gesto è totale, ricca di valore.

Per Gesù non conta quanto si dona, ma perché si dona. Per lui la cosa più importante non è il contenuto, ma la modalità del cuore che dona. Gesù guarda meno la cosa data, perché considera la persona che offre. Il dono è tanto più grande, quanto meno viene ostentato.

Qui il Signore si fa maestro e ci insegna anche il metodo cristiano del nostro agire dentro la comunità, del nostro donare per gli altri, del nostro essere. E’ un metodo impegnativo, domanda uno stile raffinato, è la regola della virtù, che chiede un animo libero per essere evangelici.

Carissimi,
il rito della ordinazione diaconale, che tra poco vivremo mediante l’intervento sacramentale di Cristo nella sua Chiesa, ha la forza misteriosa di fare di un cristiano il qualificato servitore del Popolo di Dio, all’altare con l’annuncio della Parola e con l’amministrazione dell’Eucaristia, nella comunità con l’esigente esercizio della carità, nel mondo con la testimonianza chiara della propria adesione al Signore.
Quale norma deve assumere il diacono nel suo essere e con il suo agire nella Chiesa? e quale legge deve incarnare nella società per essere fedele al dono ricevuto?
La seconda lettura della Messa ci parlava di Cristo sacerdote e vittima: Gesù è il grande sacerdote della nuova alleanza ed è anche la vittima, che liberamente si dona al Padre. Che cosa domanda questo a noi, ministri diaconi, presbiteri, vescovo? Lo dico con timore, mi esprimo con grande trepidazione: il ministero ordinato chiede  che si diventi anche vittime, se vogliamo essere fedeli al mandato ricevuto. La prospettiva è alta, da capogiro, ed ha un nome tremendo e glorioso: martirio. Quanti nostri confratelli hanno liberamente abbracciato e stanno vivendo questa fedeltà. Sono i nostri eroi, sono i santi.
Non ci viene richiesto di fare le vittime, perché questo potrebbe essere un raffinato atteggiamento di superbia, né ci viene domandato di aspirare necessariamente a diventare dei martiri, anche se questa prospettiva non è del tutto aliena dalla coerenza evangelica. Ciò che ci viene domandato è di essere servitori, secondo quanto insegnava San Paolo: “Ognuno ci consideri come ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio” (1 Cor 4,1). Essere ministri del Signore non sempre è facile, perché si tratta di mettere al centro Lui e non noi. Essere amministratori dei misteri di Dio comporta che la centralità sia data alle cose del Signore, ai suoi misteri, e non alle nostre umane prospettive. Questo non significa che un ministro debba disinteressarsi delle cose umane, ma piuttosto che deve fare questo in maniera profondamente diversa dai sociologi e dai politici, perché intende piacere innanzitutto al Signore Gesù.

Ed inoltre, ai ministri della Chiesa viene richiesto di essere “non padroni della fede, ma collaboratori della gioia della gente” (2 Cor 1, 23). L’esperienza insegna che quando si lavora per la gioia vera del popolo di Dio, la gente diventa anche la gioia del suo sacerdote.

Carissimo Don Roberto,
vedi quanto sia impegnativo diventare diacono e farsi ministro, cioè servitore, ma ti assicuro che è anche molto bello mettersi al servizio della gente nella Chiesa.
In una apprezzabile rappresentazione cinematografica di qualche anno fa lo zio sta insegnando al nipote come fare bene il cameriere. Il giovane apprendista ad un certo punto chiede: “Quant’è che devo inchinarmi davanti ai clienti?”.  Ecco la risposta: “Devi fare come i girasoli: che si inchinano davanti al sole, ma non devono abbassarsi troppo, perché in questo caso sono morti”. Bisogna servire da vivi, per il Sole, per il Signore.

Come diacono devi servire, devi abbassarti per stare accanto ai bisognosi nel corpo e nello spirito, come faceva la Beata Madre Teresa di Calcutta, ma non devi sentirti condizionato dagli altri, perché in questo caso potresti essere spiritualmente morto, come nel caso dei girasoli. Mentre invece devi abbassarti totalmente davanti al Signore, completamente dedicato a Lui, perché solo in questo modo tu ti sentirai libero di donarti agli altri ed avrai la forza di dare stando diritto, spiritualmente vivo. Se sarai tutto del Signore, non potrai anche non essere liberamente tutto degli altri.

Vivi dunque la gioia di donarti per sempre al Signore, accogliendo con umile disponibilità anche il carisma del celibato: è gioia vera che libera da tante paure e che permette una totale donazione a tutti. Vivi la gioia della consacrazione a Lui nella Chiesa: è una consolazione indicibile, che tanto conforta. Vivi serenamente e decisamente quella caritas libera servitus (la libera schiavitù dell’amore), che tante volte aveva predicato S. Agostino, frutto maturo della sua travagliata esperienza di vita (Enarr.in  Ps. 99). 

Tutto questo quanto è bello e quanto è desiderato dal popolo dei fedeli! Ti accompagniamo nel tuo ministero con il nostro affetto, la nostra preghiera e la mia benedizione.

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