RIMINI – La povertà come valore, la giustizia sociale, la bellezza del gratuito, il diritto alla vita e alla famiglia e la lotta contro le schiavitù moderne. Sono solo alcune delle tematiche che il convegno internazionale “Don Oreste, testimone e profeta per le sfide del nostro tempo”, che si è aperto venerdì 26 ottobre al 105 Stadium di Rimini, porrà all’attenzione dei 2.500 partecipanti provenienti dai cinque continenti, tra movimenti laici e cristiani, rappresentanti del mondo della Chiesa e dell’associazionismo, del volontariato come della politica e delle istituzioni. Sono gli stessi temi che il fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII incarnò e difese fino a poco prima della morte, avvenuta il 2 novembre 2007. A quasi cinque anni dalla sua scomparsa l’appuntamento riminese non solo affronterà “con lo stesso slancio e la stessa passione” i tanti aspetti della vita e della profezia di don Oreste nelle sue numerose sfaccettature, ma sarà l’occasione per annunciare ufficialmente l’avvio della causa di beatificazione del “sacerdote dalla tonaca lisa”, come spiega ad Alessandra Leardini, che lo ha intervistato per il Sir, il presidente della Comunità, Giovanni Paolo Ramonda.

Presidente, partiamo dal titolo: in che modo don Oreste fu testimone e profeta?
“Durante tutta la sua vita don Oreste fu capace di trasmettere una grande passione sia nel suo essere sacerdote sia, soprattutto, nel suo essere guida della Comunità Papa Giovanni XXIII e di tutte quelle realtà, oggi più di cinquecento, che sotto il suo influsso nacquero in tutto il mondo. Ma don Oreste fu anche profeta nell’intuire il valore di una nuova società fondata sul gratuito. Nel sostenere che l’umanità può salvarsi solo se sono i poveri e gli emarginati a segnare la strada. I valori dell’essenzialità, della sobrietà e della condivisione della vita e dei beni, da lui tanto difesi, diventano più che mai importanti con la crisi che stiamo vivendo oggi. L’economia della condivisione fa sì che non ci sia più nessuno nell’opulenza sfacciata ma neanche nell’indigenza totale. Ognuno finisce per avere il necessario. Ciò in linea anche con il modo in cui don Oreste intendeva il Vangelo: per lui non era solo una conversione spirituale ma un rinnovamento cosmico”.

Quali sono, oltre alla crisi, le altre sfide del nostro tempo per le quali l’insegnamento di don Oreste diventa più fertile?
“La principale sfida è quella di essere sempre più a fianco dei cosiddetti ‘nuovi poveri’ che oggi sono in aumento. Per la nostra Comunità una sfida sarà anche l’impegno in nuove frontiere: da Patrasso, in Grecia, dove sorgerà molto probabilmente una casa famiglia per profughi minori, all’Iraq, fino al Nepal. Il 14 dicembre sarò a Baghdad dove il Nunzio apostolico ci ha chiesto di aprire una casa famiglia per orfani mutilati dalla guerra. In un contesto internazionale in cui l’umanità è in forte travaglio, la sfida diventa non solo essere a fianco dei poveri, ma denunciare le ingiustizie e dialogare concretamente con le istituzioni. La presenza all’Onu del medico riminese Mara Rossi, membro della Comunità, vuole dare voce agli ultimi anche laddove si orientano i fondi economici e si difendono i diritti dei popoli”.

La profezia contagiosa di don Benzi come può contagiare il presente e il futuro?
“Incidendo su uomini e donne di buona volontà di ogni parte sociale e di ogni professione (dal medico all’insegnante, dall’educatore al politico): un popolo nuovo che sappia assumersi un ruolo di responsabilità in difesa del bene comune e non semplicemente per tornaconto personale. Don Oreste diceva che dobbiamo passare dall’io al noi. In questa direzione la Comunità è al fianco, per fare un altro esempio, anche ai malati di Sla, che non hanno la possibilità di curarsi a causa dei tagli dei fondi alla sanità. Noi ribattiamo che ci sono dei diritti fondamentali che non vanno dimenticati, come la vita”.

Una delle tavole rotonde del convegno porta il titolo “A cosa serve il vento favorevole se il marinaio non sa dove andare”. Una frase di Seneca che è anche il tema dell’ultimo intervento pubblico di don Oreste alle settimane sociali dei cattolici di Pisa. Qual è il significato più profondo di questo suo “testamento spirituale”?
“È un invito al fare, al concretizzare. Ma anche un monito di speranza per il futuro in un tempo di grande crisi. Il messaggio è: bisogna saper indicare la strada. Non a caso l’andare è un altro termine fondamentale di queste giornate e del’intera testimonianza di don Oreste. Un andare spinto dai valori della carità e della giustizia che anche i giovani, nonostante tutto, oggi sentono molto”.

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