SAN GIULIANO DI PUGLIA – Avrà come tema “Ricostruire la speranza” la cinque giorni (27-31 ottobre) organizzata dal Comune di San Giuliano di Puglia e alla quale ha aderito la diocesi di Termoli-Larino per commemorare la tragedia a dieci anni dal terremoto che scosse e distrusse la città molisana.

Ritrovarsi nella speranza. Erano le 11.32 del 31 ottobre 2002 e la notizia del crollo della scuola elementare “Iovine” a San Giuliano di Puglia fece il giro del mondo: 30 i morti, di cui 27 bambini. Attraverso convegni e incontri, per cinque giornate si vorrà “testimoniare la speranza” perché, afferma mons.Gianfranco De Luca, vescovo di Termoli-Larino, “la memoria contiene dei segni di speranza e la speranza porta con sé la guarigione dei cuori”. “La tragedia di San Giuliano – ricorda il vescovo – ha distrutto non solo edifici. Oggi dobbiamo ricordare la forza del rialzarsi, la macchina dei volontari, le azioni delle Caritas e della solidarietà, ma soprattutto il desiderio di riprendere il cammino e andare avanti”. L’appuntamento vedrà la partecipazione dei vescovi di L’Aquila e Carpi, mons. Giuseppe Molinari e mons. Francesco Cavina, e di mons. Tommaso Valentinetti, allora vescovo di Termoli-Larino, oggi presidente della Conferenza episcopale Abruzzo-Molise e arcivescovo di Pescara-Penne. A precedere la messa del 30 ottobre sarà un confronto sul tema “La Chiesa si fa prossima ai fratelli terremotati”. “Vogliamo testimoniare la gratitudine alla Chiesa italiana che attraverso le sue realtà è stata vicina ai cittadini, cercando di risanare tante ferite – afferma Luigi Barbieri, sindaco di San Giuliano di Puglia -. Abbiamo completato la ricostruzione del paese ma ci sono ferite che solo la Chiesa potrà curare e, dieci anni dopo, vogliamo dare un segno di speranza a tutti”.

Un ricordo indelebile. Sono ancora vivi i ricordi di don Ulisse Marinucci, che nel 2002, pochi giorni prima del sisma, fu nominato parroco a San Giuliano: “Entravo a far parte di quella comunità in punta di piedi, con tanto entusiasmo; era la mia prima esperienza da parroco e pochi giorni dopo non avevo più alcuna parrocchia”. Il terremoto, ricorda don Marinucci, “ha lasciato un segno marcato nel mio cuore, così come nel cuore di coloro che hanno vissuto quella drammatica serie di eventi. Le scosse, il crollo della scuola, la notte con il fiato sospeso per la ricerca dei superstiti e lo sgomento per ogni bambino che, purtroppo, veniva estratto dalle macerie senza vita. E poi la veglia al palazzetto, il funerale, i giorni a seguire carichi di tensione e di operatività, perché bisognava ricominciare”. “I mesi e gli anni successivi al sisma – prosegue – sono stati ricchi di relazioni fraterne costruite con i sangiulianesi e con gli uomini e le donne della Protezione Civile, ma anche con centinaia di volontari. Quale parroco, non posso non ricordare la straordinaria presenza di Caritas Italia, della Comunità Intercongregazionale delle suore e poi, nel gemellaggio con la comunità parrocchiale, della delegazione Caritas Lombardia. È stato un tempo di fatiche, dolori, lacerazioni, ma carico di speranza e arricchito dalla pienezza dei rapporti interpersonali”. Oggi don Marinucci non è più parroco a San Giuliano ma, afferma, “mi sento ancora parte di quella comunità, alla quale spetta un posto particolare nel mio cuore”.

Prossimità fu una tenda. “In pochi istanti – racconta padre Enzo Ronzitti, direttore della Caritas diocesana ai tempi del terremoto – comprendemmo che la situazione sarebbe stata drammatica perché San Giuliano era distrutta; di lì a poco ci dissero che a cedere era stata una scuola elementare. Dalla paura al dramma: più di cinquanta bambini erano sotto le macerie. Avviammo la rete dei contatti e Caritas Italia giunse in pochissimo tempo con due operatori. L’obiettivo era leggere la situazione e stabilire le strategie da adottare; nacque così, in poco tempo, una fraterna collaborazione che dette il via a una macchina organizzativa di enorme efficienza. Non eravamo pronti ad affrontare una tragedia di questo tipo, ma la cosa più bella fu l’avvio del ‘progetto di prossimità’ che creò gruppi di persone ‘prossime’ ai paesi e alle comunità lacerate dal terremoto. Tutto questo avveniva per la prima volta e si è ripetuto a L’Aquila e nel terremoto che ha colpito l’Emilia. Prossimità fu una tenda (quella dell’aiuto e della fede) tra le tende, una roulotte tra le roulotte e una casa tra le case: Dio si chiamava servizio, solidarietà, conforto e amore. Padre Ronzitti richiama infine “quel senso d’imbarazzo soprattutto tra chi aveva perso il figlio e chi, invece, l’aveva visto uscire vivo dalle macerie”.

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