LIBANOBenedetto XVI sta visitando in questi giorni il Libano con la speranza che la sua presenza possa essere un contributo per la pace in medio oriente e un conforto per i tanti cristiani che in queste terre vivono in situazioni di estrema difficoltà, se non addirittura di vera e propria persecuzione. Abbiamo parlato di questa condizione dei cristiani con Rodolfo Casadei che ha conosciuto da vicino queste realtà

Rodolfo Casadei, nato a Forlì nel 1958, laureato in filosofia nell’Università di Bologna nel 1982, coniugato con 2 figli, è giornalista professionista dal 1991. Ha lavorato come redattore nel mensile Mondo e Missione fra il 1985 e il 1998, occupandosi dei temi del sottosviluppo e dell’Africa, dove ha compiuto numerosi viaggi. Dal 1998 è inviato speciale del settimanale Tempi, per il quale ha svolto reportage nei maggiori paesi europei, in Medio ed Estremo oriente e in America latina. Suoi articoli e servizi su temi dell’attualità internazionale sono apparsi su Avvenire, L’Osservatore Romano, Sette del Corriere della Sera, Il Giornale, L’Eco di Bergamo, Jesus, Il Sabato, Trenta Giorni, Tracce, sul mensile Usa Inside the Vatican. Attualmente collabora coi quotidiani Il Foglio e Il Giornale del Popolo (CH). Ha narrato molte vicende di persecuzione e di speranza in “Tribolati ma non schiacciati” (Lindau)

1) Quanti paesi ha visitato per svolgere il suo lavoro?
Tanti. Quando lavoravo con padre Piero Gheddo a Mondo e Missione ero l’incaricato per l’Africa, al settimanale Tempi sono l’Inviato Speciale internazionale. Sei-sette missioni all’anno le faccio normalmente. Non è tantissimo, ma la qualità è più importante della quantità. Poi ci sono gli inviati più bravi, che tengono insieme l’una e l’altra cosa.

2) Lei è sposato e ha dei figli. Cosa la spinge a compiere i suoi viaggi nonostante i molti rischi connessi con la sua attività di giornalista di frontiera?
Sono sempre prudente, quando mi muovo ho buoni appoggi sul posto. Ci sono mestieri molto più pericolosi del mio: muratore, operaio, contadino, agente di pubblica sicurezza, ecc. I miei familiari sanno che sono prudente e sono d’accordo con me che la vita non vale per sé, ma per lo scopo che ha, per la missione che è data a ciascuno: dal disabile paralizzato in un letto al pilota di aereo che fa il giro del mondo tutte le settimane. Sono giornalista, sono cristiano. Quello che faccio è la logica conseguenza della mia identità.

3) In quale paese le condizioni di vita dei cristiani sono maggiormente difficili?
Fra quelli che ho visitato, l’Iraq.

4) Quale è l’animo dei cristiani e con quali sentimenti affrontano tutte le difficoltà che incontrano?
Alcuni di loro sono persone comuni, che reagiscono in base all’istinto di sopravvivenza: mi chiedono se posso aiutarli ad abbandonare il paese, se posso fare loro avere un visto per l’Europa. Altri invece approfondiscono la fede proprio sotto la pressione della persecuzione. La persecuzione diventa una chiamata alla santità, alla quale rispondono positivamente.

5) Fra le tante storie di sofferenza che ha raccontato, quale le è rimasta più impressa nel cuore?
Mi hanno colpito tutte. Ma se devo ricordarne una, mi viene in mente Surur, una ragazza cristiana di Baghdad. L’hanno violentata e uccisa dentro casa, a pochi metri dai suoi genitori. Si rifiutava di cedere alle minacce di chi voleva imporle di portare il velo a scuola. Aveva smesso di andare a lezione per restare coerente con la sua coscienza e per non creare pericoli a chi frequentava la scuola. Era una ragazzina di 16 anni. Spero di incontrarla nell’eternità.

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