EUROPA – “Quando si discute della crisi economica” in corso in Europa e “delle sue molte vittime, non si possono dimenticare le vittime di crisi più antiche e di conflitti tuttora in corso, ossia gli sfollati”. Diversamente, oltre alla cosiddetta “generazione perduta” a causa della crisi economica, il nostro continente dovrà fare i conti anche con la perdita di un’altra generazione, “e forse più di una”. A lanciare il monito è Nils Muižnieks, commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, nel suo Human Rights Comment pubblicato oggi, 4 settembre.

I numeri. “A seguito delle passate crisi politico-militari – avverte Muižnieks – un altro tipo di ‘generazione perduta’ sta lottando per sopravvivere in molti Paesi europei”. Si tratta degli “sfollati interni in Europa (Internally displaced persons – IDPs), alcuni dei quali stanno da decenni affrontando condizioni estremamente difficili”; vittime di conflitti passati o tuttora in corso “continuano ad avere bisogno dell’aiuto della comunità europea e internazionale”. Negli Stati membri CdE si contano tra i 2 milioni e mezzo e i 2 milioni e 800mila sfollati interni, la maggior parte dei quali, circa 1 milione, vive in Turchia ed è vittima di conflitti armati e violenze nelle zone abitate prevalentemente dalla minoranza curda. Altrove in Europa, la maggior parte degli sfollati è stata costretta a fuggire a causa dei conflitti che oltre due decenni fa hanno disintegrato l’Unione sovietica e la Jugoslavia e, più recentemente, a seguito del conflitto del 2008 in Georgia. Gli sfollati sono circa 600mila in Azerbaigian; 274mila in Georgia; 225mila in Serbia; 113mila in Bosnia ed Erzegovina. I rimanenti sono distribuiti negli altri Stati balcanici, in Armenia e Russia.

Una sorta di limbo. Numeri dietro i quali si nascondono persone “in uno stato di limbo”, prosegue Muižnieks, “cacciate dalle loro case” e “nell’impossibilità di farvi ritorno; condannate più che a vivere a sopravvivere”. Circa 390mila (il 15%) vive in “centri collettivi” o in rifugi di fortuna “spesso senza alcuna garanzia di permanenza”, né accesso a cure sanitarie, istruzione o lavoro. Molti di essi hanno subito traumi e non possono tornare nei luoghi di origine a causa di conflitti ancora irrisolti e del reale rischio di subire persecuzioni.

Segni di speranza. Nel richiamare la conferenza internazionale dei donatori, lo scorso aprile a Sarajevo per raccogliere aiuti finanziari per le esigenze abitative dei 74mila sfollati più vulnerabili in Serbia, Bosnia ed Erzegovina, Croazia e Montenegro, Muižnieks osserva: “Se i fondi promessi verranno assegnati e ben spesi, questo potrà segnare la fine di un lungo e doloroso capitolo per molti”. Secondo il commissario, anche la Georgia ha compiuto “progressi” in questo ambito “grazie all’elaborazione di politiche nazionali e l’allocazione di risorse significative”.

Strumenti internazionali di garanzia. Diversi, elenca Muižnieks, gli strumenti internazionali di garanzia dei diritti di queste persone. Tra questi la Raccomandazione del Comitato dei ministri CdE (2006), i principi guida Onu sugli sfollati interni, una serie di sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo. Più spesso, avverte, “la loro maggiore speranza è l’integrazione nei nuovi luoghi di residenza o una nuova sistemazione altrove”. La protezione degli sfollati interni, precisa il commissario, è in primo luogo di competenza delle autorità nazionali. Tuttavia esse spesso “non hanno o non possono applicare misure di protezione”, o per “mancanza di autorità nelle aree di conflitto che non sono sotto il controllo del governo”, o “per mancanza di volontà”, di “un quadro istituzionale, o di mezzi”. Di qui il monito a non strumentalizzare “politicamente” la questione e a far prevalere “la tutela dei diritti”.

Quali linee di intervento. Per Muižnieks la risposta deve essere “tempestiva ed efficace”. Al riguardo richiama la risoluzione adottata lo scorso 5 luglio dal Consiglio dei diritti umani Onu. Occorre, spiega “colmare urgentemente le lacune nella protezione degli sfollati. Gli Stati membri dovrebbero adottare misure per prevenire gli spostamenti interni” e, quando essi avvengono, se questi stessi Stati non sono in grado di fornire assistenza, devono “garantire agli sfollati l’accesso agli aiuti umanitari”. “Imperativo” individuare “soluzioni di permanenza durature e sostenibili”, e “misure per il ritorno e il reinserimento degli sfollati nelle loro comunità di origine”. Il commissario chiede “particolare attenzione” per i “più vulnerabili: disabili, anziani, bambini e donne”, ed auspica che gli Stati, “in collaborazione con gli attori internazionali”, assicurino, laddove possibile, “che gli sfollati stessi vengano consultati e partecipino in qualità di partner alla progettazione e realizzazione del ritorno o di eventuali altre azioni correttive”.

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