ITALIA – Un dato che sfata in un colpo solo tanti luoghi comuni sugli extracomunitari giunti in Italia: che sono venuti qui anzitutto per lavorare. E se il lavoro manca, se ne tornano a casa loro.

Lo dicono appunto le statistiche, in particolare quelle Istat che hanno valutato la situazione del Veneto, regione di grande dinamismo economico e di forte presenza straniera. Ebbene: al primo gennaio 2012 mancavano all’appello statistico qualcosa come 54 mila stranieri extracomunitari. Considerato che quelli presenti un anno prima erano 480 mila (ripetiamo: in territorio veneto), i numeri ci dicono che – nel corso del 2011 – oltre 11 extracomunitari censiti su cento hanno fatto le valigie e sono andati via. Quindi: non solo si è completamente interrotto l’afflusso di stranieri in cerca dell’eldorado in terra veneta, ma la mancanza di prospettive – e una legislazione assai severa con chi si trova a perdere il lavoro – ha stimolato migliaia di loro ad andarsene. E il 2012 farà certamente proseguire questo trend negativo.

Prima dei numeri statistici, se n’erano accorti i veneti stessi. Il mercato degli affitti – tenuto su anche dalla richiesta straniera – è in forte calo; quello dei mutui in crollo anche per l’azzeramento di richieste degli stessi da parte degli extracomunitari qui presenti: segno che la voglia (e la possibilità) di radicamento è venuta meno in molti di loro.

Quindi un rapido giro tra i settori economici in cui la loro presenza è (era) marcata, testimonia la grande fuga. L’edilizia è certamente il settore più colpito dalla crisi, e non da oggi. Aveva assorbito tantissima manovalanza straniera, soprattutto rumeni poi diventati comunitari. Posti di lavoro che non trovavano accoglienza tra gli italiani, così come nelle acciaierie e fonderie vicentine e veronesi, nelle tante fabbriche che tappezzano la Marca trevigiana e l’Alto padovano.

Inutile dire che la crisi sta colpendo un po’ tutti, ma gli stranieri che lavoravano nell’edilizia sono stati certamente i più danneggiati: la bassa manovalanza è stata la prima a pagare il conto, e quasi nessuno si era strutturato con investimenti in macchinari e mezzi di lavoro, insomma avviando un’attività imprenditoriale che comunque permettesse maggiore flessibilità e indipendenza.

Così come nelle fabbriche gli africani – ottimi lavoratori – hanno colmato quel bisogno di operai che ha attraversato il Veneto per un buon decennio, e che ora pare completamente esaurito.

Infine le campagne. I vigneti, i frutteti, le colture orticole specializzate, gli allevamenti: ovunque c’è stata per anni disperata necessità di manodopera che qui non si trovava più. Pullman di raccoglitori dell’Est Europa arrivavano ogni anno nelle campagne tra Mincio e Tagliamento per “fare stagione”: dalle fragole primaverili fino alle olive autunnali. Buona paga, almeno il doppio di quanto si percepisce nel Mezzogiorno; un sistema rodato di accoglienza; più d’uno che – arrivato qui – aveva trovato poi una sistemazione definitiva nelle campagne o nelle industrie.

Per non parlare del welfare casalingo, della schiera di badanti e colf provenienti perlopiù da Moldavia e Ucraina (le prime) e da Sri Lanka (le seconde). Ancor oggi sono richieste, ma si è innestato un fenomeno nuovo: le italiane che s’inseriscono per trovare occupazione di questo tipo, dopo che per anni l’offerta è stata totalmente straniera. E nelle cooperative sociali raccontano di centinaia di persone che chiedono lavoro per attività – come le pulizie industriali o domestiche – snobbate fino ad un paio d’anni fa.

Ecco il secondo aspetto del fenomeno. Non solo c’è crisi, ma questa colpisce pure gli italiani, che si adattano a lavori fino a ieri trascurati. Sono tornati in massa nelle varie vendemmie in campagna, soprattutto donne e giovani; sono alla ricerca di qualsiasi tipo di lavoro, e pure quello operaio diventa prezioso in quest’epoca di forte disoccupazione, di cassa integrazione a macchia d’olio, di migliaia di posti traballanti che non sanno se mangeranno il panettone a Natale.

Tutto ciò ha drasticamente ristretto gli orizzonti di migliaia di lavoratori stranieri. I sindacati e le associazioni cattoliche raccontano di due tipi di migrazioni in verso contrario: quella di lavoratori che hanno acquisito una certa specializzazione, e che tornano nel Paese d’origine per metterla a frutto o emigrano verso posti più “accoglienti” come la Germania; e quella di persone di una certa età, qui in Italia da tempo, che preferiscono anch’esse il ritorno “a casa” prima di mangiarsi i risparmi di una vita.

C’è infine il lato oscuro della vicenda, denunciato dai sindacati: chi ha perso il lavoro, e rischia quindi di perdere pure la possibilità di soggiornare in Italia, diventa facile preda del “nero” e di sfruttatori senza scrupoli: false cooperative di lavoro, datori che sottopagano o che ignorano regole e contratti e via dicendo. Quasi tutti italiani.

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