a cura di Francesco Rossi, inviato Sir a Trento

AMBIENTE – È la montagna “killer” che finisce sui giornali, mentre “l’ansia consumistica” di un certo turismo ignora il senso del limite. Le deformazioni nel parlare della montagna, e d’altra parte l’importanza di una comunicazione corretta e integrale, sono state al centro della tavola rotonda su “La montagna di carta: comunicare la montagna”, che si è tenuta sabato 16 giugno a Trento, all’interno del 9° Forum dell’informazione cattolica per la salvaguardia del creato organizzato da Greenaccord, in collaborazione con la Federazione dei settimanali cattolici (Fisc) e l’Unione cattolica della stampa italiana (Ucsi).

Patrimonio da custodire. Le Dolomiti “patrimonio dell’umanità” sono “un dato culturale da comunicare”, “un complesso di conoscenze, valori, visioni di vita”. Sono le “nostre montagne”, ma ciò “non significa che siano di nostra proprietà, da usare a piacimento, fino a distruggerle se ci fa comodo”. A ricordarlo, con il tono appassionato di chi le Dolomiti le vive, è stato don Vittorio Cristelli, giornalista e per anni direttore di “Vita Trentina”.
Bisogna tener presente che “non le abbiamo fatte noi, ma qualcun Altro”, senza – con ciò – “fermarsi alla meraviglia e cadere nel deismo che chiama Dio la stessa meraviglia”. Il sacerdote ha evidenziato come vada “salvata e promossa” quella “facilità e tipicità dei rapporti umani in simbiosi con la natura” che si vivono in alta quota e possono costituire essi stessi un’attrazione.
È un richiamo ai valori e alla spiritualità della montagna, e se oggi “quasi tutte le cime delle Dolomiti terminano con la croce”, non possono essere accolte le pretese di chi vorrebbe togliere quelle croci per “rispettare” i non credenti. Anzi, “quelle croci sono tipiche del paesaggio dolomitico” e “se le Dolomiti sono patrimonio dell’umanità, così lo è pure la croce”.

Parte della vita. D’altra parte i monti “non sono un capriccio, ma una parte strutturale del creato e della vita”, ha rimarcato lo storico Franco De Battaglia vedendo nella montagna “un’alternativa possibile”, luogo dove si vive una spiritualità “a contatto con il creato” e la cui “colonizzazione” nasce dal “patto” con cui l’uomo baratta la fatica con la libertà. “La montagna – ha riconosciuto – è un ambiente difficile”, però ha quelle risorse che servono all’uomo per vivere e “nel maso chi ci vive è il re”. Oggi, però, “i valori della gente di montagna sono fortemente influenzati dai valori della modernizzazione” e pure nella filmografia non appare più “la montagna gioiosa e romantica di 50-60 anni fa”, ha riconosciuto Gianluigi Bozza del Film festival della montagna.

Non c’è un solo aspetto. Certo, c’è un problema di comunicazione. “La montagna fa notizia soltanto in negativo”, ha rimarcato il giornalista Alberto Folgheraiter: dalla tragedia in alta quota all’orso che “fa notizia solo perché ‘fa il suo mestiere’, mangia le pecore”, mentre la vera notizia sarebbe “una pecora che sbrana un orso”, ha provocato. Sui giornali e nei tg si parla “solo quando c’è una tragedia alpinistica, o una frana”, ha rilevato De Battaglia denunciando “l’esasperazione di un’informazione che vede solo un aspetto della montagna”. “Il racconto della montagna si presenta dissociato”, ha aggiunto facendo riferimento alla dimensione della cronaca, a quella di una “visione emotiva” e, infine, alla spiritualità. La richiesta di “far conoscere queste montagne non solo dal punto di vista tecnico, scientifico o del marketing turistico, ma per le questioni che interessano le popolazioni alpine” è l’invito di Fabio Scalet della Provincia autonoma di Trento, mentre c’è pure chi, come Davide Sapienza, ammette che “senza la montagna” nella quale si è trasferito ormai da diversi anni non avrebbe trovato la sua “voce di scrittore”. Infine il richiamo del sociologo Nadio Delai a evitare “il mito facile della conquista”, che lui ha rappresentato con le “ciabatte infradito ai piedi” mentre si è sulle Dolomiti, come pure “l’ansia consumistica del superamento del limite”.

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